Enrico Pascal, psichiatra contestatore, come lui stesso ama definirsi, è un personaggio chiave della rivoluzione psichiatrica in Piemonte, pioniere del superamento dei manicomi e della costruzione dei primi servizi alternativi sul territorio della provincia di Torino, fra gli anni Sessanta e Novanta del Novecento. Una storia affascinante, che si è anche intrecciata con quella della cooperativa Il Margine di Torino.

È ben noto che l’assistenza psichiatrica in Italia è frutto di una rivoluzione.

Tutti (o quasi) conoscono Franco Basaglia, lo psichiatra che ne è stato il profeta e il principale realizzatore, anche attraverso una legge associata al suo nome: la 180 che nel 1978 chiuse i manicomi. Meno conosciute sono le storie di altri psichiatri, infermieri, operatori psichiatrici, ispirati da Basaglia, e protagonisti della stessa difficilissima impresa: restituire dignità, libertà e diritti ai malati di mente.

La battaglia di Enrico Pascal inizia nel 1968: insieme a un gruppo di infermieri illuminati e a un’assistente sociale crea la prima comunità terapeutica negli ospedali psichiatrici torinesi, a Collegno; tre anni dopo (lo stesso anno in cui Basaglia approda a Trieste) fonda il Centro di Salute Mentale di Settimo Torinese, uno dei primi d’Italia, con il medesimo gruppo di lavoro.  

Nel 1976, in anticipo di due anni sulla legge 180, apre la prima comunità alloggio per donne uscite dal manicomio; negli anni successivi teorizza e mette in pratica la cura dei pazienti nei loro luoghi di vita, secondo un modello di “comunità terapeutica diffusa”.  

L’esperienza di Pascal è esemplare e simbolica perché dimostra nei fatti che si può curare la sofferenza mentale in modo non istituzionale, restituendo ai pazienti dignità, diritti e responsabilità, e perché ricorda quanto siano decisivi, accanto a quelli personali, i fattori culturali, sociali e politici. 

A cinquant’anni dall’uscita di Enrico Pascal e dei suoi compagni di strada sul territorio, la condizione generale dei pazienti è migliorata in modo irreversibile, ma abbandono e istituzionalizzazione si riproducono in forme diverse.

Per questo ci sembra così importante riascoltare, oggi, la voce di chi ha avuto il coraggio di pensare l’impensabile e di metterlo in pratica, con straordinaria competenza, abilità strategica e la serena determinazione dei giusti.

Enrico Pascal è un personaggio chiave della rivoluzione psichiatrica in Piemonte. Psichiatra contestatore, come lui stesso ama definirsi, è stato pioniere del superamento dei manicomi e della costruzione dei primi centri di salute mentale sul territorio della provincia di Torino, fra gli anni Sessanta e Novanta del Novecento. Una storia affascinante, che si è anche intrecciata con quella della cooperativa Il Margine di Torino.

È ben noto che l’assistenza psichiatrica in Italia è frutto di una rivoluzione. Tutti (o quasi) conoscono Franco Basaglia, lo psichiatra che ne è stato il profeta e il principale realizzatore, anche attraverso una legge associata al suo nome: la 180 che nel 1978 chiuse i manicomi. Meno conosciute sono le storie di altri psichiatri, infermieri, operatori psichiatrici, ispirati da Basaglia, e protagonisti della stessa difficilissima impresa: restituire dignità, libertà e diritti ai malati di mente.

La battaglia di Enrico Pascal inizia nel 1968: insieme a un gruppo di infermieri illuminati e a un’assistente sociale crea la prima comunità terapeutica negli ospedali psichiatrici torinesi, a Collegno; tre anni dopo (lo stesso anno in cui Basaglia approda a Trieste) fonda il Centro di Salute Mentale di Settimo Torinese, uno dei primi d’Italia, con il medesimo gruppo di lavoro.

Nel 1976, in anticipo di due anni sulla legge 180, apre la prima comunità alloggio per donne uscite dal manicomio; negli anni successivi teorizza e mette in pratica la cura dei pazienti nei loro luoghi di vita, secondo un modello di “comunità terapeutica diffusa”.

L’esperienza di Pascal è esemplare e simbolica perché dimostra nei fatti che si può curare la sofferenza mentale in modo non istituzionale, restituendo ai pazienti dignità, diritti e responsabilità, e perché ricorda quanto siano decisivi, accanto a quelli personali, i fattori culturali, sociali e politici.

A cinquant’anni dall’uscita di Enrico Pascal e dei suoi compagni di strada sul territorio, la condizione generale dei pazienti è migliorata in modo irreversibile, ma abbandono e istituzionalizzazione si riproducono in forme diverse.

Per questo ci sembra così importante riascoltare, oggi, la voce di chi ha avuto il coraggio di pensare l’impensabile e di metterlo in pratica, con straordinaria competenza, abilità strategica e la serena determinazione dei giusti.