Da oggi su la “rete del dono” è attiva la raccolta fondi per tenere viva la memoria di Enrico Pascal, attraverso la riedizione del suo saggio “Follia e ricerca”

ENRICO PASCAL

Enrico Pascal è stato uno psichiatra contestatore e fenomenologo che ha avuto un ruolo chiave nella rivoluzione psichiatrica in Piemonte. È stato pioniere del superamento del Manicomio e della costruzione dei primi Centri di Salute Mentale sul territorio della provincia di Torino tra gli anni Sessanta e novanta del ‘900.

Il percorso di superamento dello stigma legato alla fragilità mentale non può prescindere, ancora oggi, dalla lettura del lavoro svolto da chi, come Pascal, non solo ha vissuto il periodo di passaggio tra manicomio e lavoro sul territorio, ma si è assunto in prima persona la responsabilità di cercare nuove forme di cura e nuovi modi di intendere la relazione tra operatore e utente, rendendola democratica e rispettosa dei diritti di ciascuno.

Nella sua visione, infatti, il potenziale terapeutico è in mano a tutti: pazienti, operatori, familiari e non ha nulla a che vedere con il ruolo professionale, molto di più con un sentimento di accoglienza e fiducia.

L’operatore cessa di essere spettatore disinteressato, custode o tecnico, si rende partecipe e diventa sofferente “paziente”, perché colpito nella sua sensibilità umana. Proprio l’empatia che si sviluppa all’interno di questa relazione, diventa elemento cardine della presa in carico e rende l’esperienza di Pascal, un’esperienza d’avanguardia.

Per questo motivo riteniamo di fondamentale importanza la diffusione del suo pensiero, attraverso una seconda pubblicazione di “Follia e ricerca”, frutto di una ricerca partecipata in cui erano coinvolti operatori e utenti, tutti a pari merito “ricercatori dei vissuti, dei travagli e delle risorse che ci attraversano dentro i crepacci della follia”.

l’aiuto di cui chi soffre ha bisogno, è qualcosa di veramente impalpabile
che i sani però non sono in grado di offrirgli

Thomas Bernhard 

Produrre sanità mentale significa lavorare contro il
potere distruttivo della pazzia,
ma anche contro il potere depauperante della normalità
e l’ottusità del senso comune

Enrico Pascal

FOLLIA E RICERCA:
quello che le università non dicono.
Rileggere Enrico Pascal.
Dott.ssa Carla Martinetto e Dott.ssa Tiziana Massola

Enrico Pascal è stato uno psichiatra contestatore e fenomenologo che ha avuto un ruolo chiave nella rivoluzione psichiatrica in Piemonte. È stato pioniere del superamento del Manicomio e della costruzione dei primi Centri di Salute Mentale sul territorio della provincia di Torino tra gli anni sessanta e novanta del ‘900.

 

PERCHÉ RILEGGERE PASCAL?

Indubbiamente tutto ciò che ha scritto rappresenta un materiale storico fondamentale per capire la rivoluzione psichiatrica in Italia. Ma ci sono anche altri motivi perché, come dicevamo, Pascal non e stato solo un contestatore, ma anche il fondatore di una nuova pratica di cura territoriale basata sulla fenomenologia a partire da Husserl, Heidegger, Binswanger, Minkowski.

E su questa nuova pratica e sulla teoria che la sottende ha promosso e condotto, negli anni ’80, una ricerca partecipata in cui erano coinvolti operatori e utenti, tutti a pari merito “ricercatori dei vissuti, dei travagli e delle risorse che ci attraversano dentro i crepacci della follia”. Crediamo che tutto ciò possa essere un grande contributo alla psichiatria odierna, che vede da un lato un riduzionismo medico-farmacologico imperante ma dall’altro lato pullula di ricerche, riflessioni proprio a partire dalla relazione col ‘paziente’, dalla sua partecipazione, dalla necessità del suo contributo per cogliere meglio, e soprattutto più precocemente, i segni di una affiorante sofferenza, come molti studi e pubblicazioni in Italia e in Europa dimostrano.

Pensiamo quindi di offrire alla lettura alcuni suoi contributi, sì datati, ma di rinnovata attualità per tutti coloro che si interrogano sul mistero della follia e della condizione umana.

 

DAL MANICOMIO AL TERRITORIO

La battaglia di Enrico Pascal inizia nel 1968 nel manicomio di Collegno: insieme a un gruppo di infermieri illuminati e a un’assistente sociale crea la prima Comunità Terapeutica.

Il manicomio “è ancora un lager psichiatrico”, scrive nel 1968 Pascal nel rapporto-denuncia sulla sezione 12 di cui era responsabile, con cui contestava le condizioni inumane e degradanti degli internati nel manicomio di Collegno, dove l uomo malato è privato di ogni diritto e talora sembra ridotto a una bestia a cui ci si accontenta di fornire un po’ di alimento, medicine e un letto .

Tre anni dopo, nel 1971, con il medesimo gruppo di lavoro, mosso dalla convinzione che il futuro dell’assistenza psichiatrica sia sul territorio e non dentro un’istituzione, rivolge le sue energie per “curare la pazzia dove sorge”, fondando il Centro di Salute Mentale di Settimo Torinese, uno dei primi in Italia. A fronte della chiusura manicomiale, l’ambulatorio è liberamente fruibile da utenti, famiglie, cittadini per dodici ore al giorno, dalle 8 alle 20, cinque giorni alla settimana:

“L’Indicazione che veniva dal contesto assembleareera il superamento della gabbia doro” rappresentato dalla stessa comunità terapeutica. Occorreva perciò concretizzare progetti di attività territoriale che consentissero unazione di filtro al ricovero in manicomio per tutti, anche per coloro che ancora non erano incappati nel circuito asilare. Nella primavera del 1971 avvenne Il distacco del nostro gruppo per lattività territoriale, sulla base di un ambiguo ordine di servizio, di fatto in una situazione di extra legalità”.

 

L’utopia ed il metodo

L’ALTERNATIVA AL RICOVERO E LA COMUNITA’ TERAPEUTICA

L’alternativa al ricovero nel manicomio prima, negli SPDC e nelle case di cura poi, è stata l’orizzonte utopico in cui si muove l’equipe del dott. Pascal. Questo comporta l’attivazione di tutte le risorse, di tutto ciò che è possibile inventare, per renderla praticabile fino all’apertura, laddove tutti gli altri interventi falliscono, di un ‘luogo’, di un ‘dove’ specifico, alternativo alla famiglia e radicalmente diverso dai passati luoghi di internamento della follia.

“La Comunità Terapeutica sulterritorio è il luogo dove le crisi di follia possono e devono essere vissute il più liberamentepossibile. È un luogo dovenon si è soli o in un ambienteostile. Non vi sono ‘misure di sicurezza’, né limiti repressivi o protezioni umilianti”.

“Qui gli operatori, cioè noi, non hanno alcun potere nei confronti delle persone liberamente ospitate, ma devono contrattare il rapporto con gli utenti costantemente, e così tutte le cose che fanno….“

Nel 1976, in anticipo di due anni sulla legge 180, apre la prima Comunità Alloggio per nove donne uscite dal manicomio.

Nel 1979 apre la Comunità Terapeutica-Centro Crisi di Via Virgilio: oltre a un nucleo residenziale, “accoglie situazioni di crisi anche molto gravi” in permanenza solo diurna o anche notturna.

 

LA PRESA IN CARICO

Ma assai prima della Comunità Terapeutica, la “presa in carico” avviene a livello territoriale, là dove si manifesta la crisi: a casa delle persone, sui luoghi di lavoro, sul territorio (bar, banca…). Elemento cardine della presa in carico sono il coinvolgimento attivo delle famiglie, il coinvolgimento e la sensibilizzazione delle reti amicali, sociali, lavorative (datori di lavoro, sindacati ) ed istituzionali ( sindaco, servizi sociali , forze dell’ordine).

 

L’ÉQUIPE E LA COMUNITÀ TERAPEUTICA DIFFUSA

L’équipe è il principale strumento di lavoro.

L’équipe è un collettivo curante; a sottogruppi i suoi componenti si rapportano nelle situazioni più complesse…… I principali progetti di intervento sono discussi ed elaborati in équipe. E ciò garantisce una reale continuità dell’intervento, nonché una sua costante verifica.

Lo stile di lavoro dell’équipe è quello della “comunità terapeutica diffusa”: “Nel giugno ’82 si era accennato allo stile di lavoro dell’équipe di salute mentale definendolo “comunità terapeutica diffusa”. Con questa terminologia si intendeva la diffusione e quindi l’applicazione a tutti i rapporti tra operatori e utenti della modalità democratica e rispettosa dei diritti di ciascuno che fonda la conduzione della “comunità terapeutica”. Significa che si prescinde dai ruoli professionali per lasciare emergere le risorse e il potenziale terapeutico di ciascuno”.

 

LA CRISI

La crisi, l’acuzie della sofferenza psichica, in cui c’è rottura della continuità esistenziale propria e col contesto, in tutte le varie forme in cui si può presentare, è l’epicentro del lavoro e dell’interesse, pratico e teorico.

I disturbi, i sintomi, hanno sempre un significato. Il compito di noi operatori è essenzialmente di decodificare, di dare significato, o meglio di scoprire il significato della pazzia e specialmente della crisi.” “Oggi non difendiamo il diritto alla malattia, ma il diritto di esprimere dei bisogni anche in modo drammatico e assurdo (crisi)”

In contrasto con una parte della corrente anti-psichiatrica, valutiamo la ‘pazzia’ un’esperienza terribile, anche se estremamente carica di significato esistenziale. Lottiamo assieme alle persone perché ne escano, ricche di libertà e di senso. Rispettiamo quelli che sono statichiamatiipoetistrangolatidel nostro tempo, non li strangoliamo, ma non li amiamo come tali. Il significato della loro e della nostra angoscia è acquisire potere per liberarsene”.

 

IL METODO DI INTERVENTO

Così lo sintetizza Pascal.

Il metodo di intervento, il metodo in cui ci sforziamo di leggere e affrontare il “disagio psichico” è composito e si vale di tre elementi principali:

1)  Impostazione Fenomenologica

Ovvero mettere tra parentesi i giudizi e i pregiudizi per cogliere l’Altro, il diverso, il ‘folle’ nel suo manifestarsi, nella sua soggettività: dice Eugenio Borgna “questo libro, si astiene dal formulare diagnosi e dal fare discorsi di fondazione nosologica… Non perché disattenda questa realtà, ma perché intende (fenomenologicamente) astrarre da questi confini del conoscere per immergersi totalmente nelle realtà umane psicologiche dei pazienti.”

Ma ciò che contava per me, medico pratico, era come il soggetto si pone nel mondo, dato fondamentale della fenomenologia.… Riconoscendo la diversità del modo di porsi di ciascuno e la validità di ogni tipo di esperienza umana, anche e soprattutto quelle tradizionalmente psicopatologiche. Husserl valorizza i vissuti, intesi come esperienze del vivere soggettivamente e coscientemente ognuno nel e con il proprio corpo, superando la scissione cartesiana tra mente e corpo. La sintesi e l’integrazione nell’incontro interpersonale sono legati a un vissuto di empatia, di risonanza emotiva che tende all’accettazione e ri- composizione dell’altro dentro di noi.

2)  Atteggiamento patico

Non solo il “paziente” viene visto finalmente come persona, ma anche l’operatore: acquista valore il patico, la risonanza della sofferenza tra operatore e paziente…e si aprono le porte all’empatia, all’accettazione, al rapporto di fiducia e di cura.

Quando assume un atteggiamento patico, l’operatore cessa di essere spettatore disinteressato, custode o tecnico; rendendosi partecipe diventa sofferente (paziente), perché colpito nella sua sensibilità umana.

“Come definire il “patico”? È essenzialmente quel tipo di sofferenza che coglie l’uomo in presenza della sofferenza di un suo simile: è quindi specificatamente umano. Si tratta dell’incontro di due totalità soggettiveviventi, di due mondi: quello dell’operatore e quello dell’utente. La correntepatica sembra capace di produrre un’atmosfera di simpatia, di fiducia reciproca che si può giustamente definire terapeutica.

“…Perché mediante il patico, uno accetta non soltanto di fidarsi ma anche di ribellarsi, e quindi si a conoscereall’altro, senza mistificazioni o particolari difese. È un modo piuttosto autentico di apprendere, di conoscere, favorito dall’atmosfera di accettazione e coinvolgimento, nonostante la sofferenza e l’angoscia.”

3)  Rifiuto dell’esclusione

Come metodo di analisi e di lavoro, Pascal ha allargato il concetto sociologico di esclusione alle sue implicazioni sul piano psicologico e conoscitivo. Se dal punto di vista sociologico l’accento è posto soprattutto sull’analisi dei ruoli e sulle dinamiche di potere, dal punto di vista psicologico vengono evidenziati ciò che l’esclusione sociale produce sull’individuo, e quindi gli inevitabili vissuti di vergogna sociale, di auto repressione, fino a contribuire alla frammentazione e disgregazione di parti di sé .

Infine, è evidente che conoscere il ‘paziente’ escludendo i suoi contesti di vita, limita radicalmente le informazioni su di lui e sulla sua storia. “Sotto questo aspetto non si dovrebbe tralasciare nessuna delle persone significative per il soggetto, da nucleo familiare all’ambiente socio-lavorativo, alla rete sociale.

“…E sembra che possa essere proprio l’elemento patico quello che riesce a fondere o a integrare tra loro gli altri due aspetti”

 

L’INCONTRO

È elemento centrale della prassi terapeutica, il fulcro. Ancora una volta lasciamo la parola a Pascal:

“Il metodo prima esposto trova pratica applicazione nell’incontro che diviene così elemento essenziale nell’ambito dei vari interventi. La modalità con cui l’incontro si svolge e l’utente viene accolto è uno degli aspetti che più qualifica l’operatività di un servizio di salute mentale. Possiamo definire l’incontro un tipo particolare di esperienza umana vissuta con finalità terapeutica tra due o più persone. Per terapeutica si intende che è destinata a produrre cambiamento. Quanto al termine esperienza esso comprendepotenzialmentetutto quanto accadenell’incontro non soltanto quello che viene comunicato verbalmente o comunque espresso in altri modi ma anche quanto, pur restando nascosto (residuo inespressivo o incomunicabile), produce i suoi effetti nella relazione.

Cercheremo di realizzare l’incontro considerandone tre aspetti principali:

  • come lotta
  • come esperienza terapeutica
  • come progettazione in comune”

 

La ricerca

In questo ambito nasce l’esigenza di riflettere ed elaborare più a fondo, con metodo, sulla pratica quotidiana. Nasce “LA RICERCA GIOVANI”. La ricerca prende in esame le esperienze di crisi e di superamento delle barriere che spesso dividono gli operatori di salute mentale dai loro utenti e intende essere una verifica della qualità ed efficacia degli interventi del Servizio di Salute Mentale. L’utente esperto è la chiave di volta, è il vero ricercatore nel dare voce alla propria esperienza, non più nel chiuso del rapporto duale di fiducia con l’operatore di riferimento, ma nel gruppo, confrontandosi con gli altri, i loro apporti, le loro critiche, le interruzioni. Ricerca socializzata e comune.

Il gruppo di ricerca è formato da operatori e utenti: si sviluppa attraverso 24 incontri di due ore, interamente videoregistrati, in cui tutti liberamente esprimono il loro punto di vista, per come possono e come sanno. La trascrizione di quegli incontri forma l’ossatura del libro ed è il punto di partenza per elaborare dei possibili indicatori di qualità ed efficacia degli interventi del Servizio di Salute Mentale.

Decisamente prevalente è la voce dei pazienti. E qui sta il vero interesse del libro. Apprendere da loro, dal vivo, in un dialogo spesso corale a più voci, la loro esperienza di angoscia e di pazzia, di sensibilità estrema, nuda o anestetizzata, dell’essere assediati da voci, dl sentirsi Gesù di Nazareth, di essere caduti nel crepaccio della follia e di cosa serve per uscirne, di cosa vuol dire incontrare un operatore motivato, sensibile oltre che competente. E quello che emerge soprattutto è la loro profonda, spessa umanità, la ricchezza e la multiformità del loro sentire, la loro capacità di darci strumenti per entrare nel vivo dei loro vissuti, per conoscere ed empatizzare con la loro sofferenza, non più totalmente criptica ed aliena. Imparare da loro cosa c’è di umano e vivo dietro sintomi e diagnosi.

 

DOMENICO E NOI…

Il libro finisce con le parole di Domenico: “quando la persona è fuori di testa, non connette, non c’è modo di dire ‘capisci questo, capisci quell’altro, ti prendo con le buone, ti prendo con le cattive’. Non capisce più. Una volta, quando si arrivava a quel punto lì, si prendeva la persona e la si sbatteva dentro il manicomio e le si dava praticamente il numero e basta. Oggi, meno male che non c’è più questa legge. La cosa che ci ha salvato è la nuova legge, perché gli psichiatri avrebbero continuato a fare il loro lavoro come la legge diceva, invece di queste cose nuove qua. C’è sta nuova legge che ha lasciato libere le persone; è stata una cosa importante, dato i sacrifici che uno incontra nella malattia, per la sofferenza che prova un ‘malato di mente’.
È una legge giustissima, perché si arriva al punto di dire: ‘io sono ancora in mezzo alla gente’, e con lo psichiatra tu oggi puoi dire ‘io sono una persona come te’

 

CON LE SUE PAROLE DOMENICO CI SFIDA E CI INTERPELLA: LA RICERCA CONTINUA…

“Ma siamo realmente riusciti ad abbattere noi e loro, noi-con-loro, loro-con-noi, la BARRIERA che inizialmente ci separava, rendendoci gestori della normalità e incapaci di capire la follia? Abbiamo veramente rimescolato i nostri mondi, il nostro e il loro, la nostra e la loro maniera di vivere? Li abbiamo sufficientemente resi sani e liberati, ci hanno sufficientemente angosciati e fatti impazzire? Certamente non ancora, e mai abbastanza.”
Le citazioni sono tratte da tesi (Lovanio 1981), Follia e ricerca, sito Margine.

 

Dott.ssa Carla Martinetto e Dott.ssa Tiziana Massola

VERSION FRANÇAISE

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FOLIE ET RECHERCHE

Ce que les universités ne disent pas.
Relire Enrico Pascal.

 

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MENTAL ILLNESS AND RESEARCH

What universities don't say.
The story of Enrico Pascal.