Oggi viviamo in una condizione di vera e propria sospensione della vita
Oggi viviamo in una condizione di vera e propria sospensione della vita
Nadia, coordinatrice di servizi di sostegno alla genitorialità
Due mesi fa raccontavo a una mamma che vive all’interno di una delle nostre comunità Mamma-Bambino che questa permanenza permette di sperimentare il tempo della pazienza, fermandosi, però, in una situazione di immobilità feconda.
Ecco, oggi faccio davvero fatica a leggere la costrizione come risorsa. So che lavoriamo in un servizio essenziale, ma sapremo esserlo anche noi nei confronti di chi ci è stato affidato?
La verità, care colleghe di ogni giorno, è che ogni tanto ho paura.
Per le mamme che non hanno voglia di sentirsi chiuse al chiuso. Per i bambini che sono “piccoli per capire”, ma ai quali bisogna comunque spiegare, anche se “non troppo perché se no si spaventano”.
E poi è costante la preoccupazione per voi, per le vostre famiglie, per tutto quello che la responsabilità che abbiamo nei confronti delle persone che vivono nelle comunità comporta in termini di rinuncia personale. Mai come oggi, tutte noi sentiamo il peso e l’onore delle scelte che abbiamo fatto.
Quelle che ci impediscono di lasciare anche quando ci sembra di non farcela… perché sappiamo molto bene che è proprio da come rispondiamo al nuovo – al termometro, al metro che nella distanza mai ha avvicinato di più, ai saponi, alle pulizie forsennate, alle emergenze – che possiamo fare la differenza.
Spesso mi commuovo. Mi emoziono perché vi guardo e vi vedo trovare la speranza con una professionalità e sorrisi che non hanno prezzo.
Perché non vi ferma la stanchezza, il buio della comunità Maia, l’isolamento della comunità Spazia o di quel luogo che, oggi, di neutro ha ben poco.
Mi commuovo perché siete tutte tenaci e attente alle persone e perché sapete ridere e sdrammatizzare quando in video-riunione arrivate in pigiama o con la tinta in testa.
Ma soprattutto sono orgogliosa di far parte di questa nostra piccola comunità: oggi chi tiene i legami siete voi, e li tenete fra un “dentro” e un “fuori” con la grande capacità di riuscire a raccontare il fuori, facendolo comprendere con altre parole, rendendolo meno mostruoso e spaventoso a chi sta “dentro”.
Sono sicura che insieme riusciremo a inventare le bellezze che verranno: ogni giorno mi insegnate che la vita continua solo se si nutre di nuove narrazioni.
Oggi più che mai mi è chiaro che cosa significa “fare cooperativa”: la storia dei nostri territori è proprio nel racconto delle telefonate che uniscono luoghi lontani. Storie che sono spesso dolorosamente piene di emergenze, lutti… ma anche di guarigioni.
Oggi chi sta male viene monitorato e curato da tutti: il 37,8 diventa febbre condivisa.
Il nostro è un lavoro che non smette mai di pensare e cercare soluzioni con amore e coraggio, e lo sentiamo sulla nostra pelle, quando a tutte le ore compare sul telefono quel “ci colleghiamo?”.
E penso che questo è il significato profondo dell’essere cooperativa: essere in luogo dove le responsabilità sono di tutti e la resistenza la si costruisce in molti modi e in molti posti.
Quello che volevo dirvi, care colleghe di tutti i giorni, quello che volevo dire a noi tutti, è che andrà meglio perché noi che fino a ieri “non si sta mai a casa”, ora ci guardiamo di più e stiamo sperimentando qualcosa di così forte che sta mettendo radici profondissime.
Un legame che si sente, anche a un metro di distanza.
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#andràtuttobene #continuiamoaesserecooperativa